Un’impronta in rapida crescita, ma ancora sottovalutata
Lo sviluppo dell’IA richiede infrastrutture complesse: data center sempre attivi, GPU ad alte prestazioni in funzione per giorni o settimane, enormi quantità di dati da archiviare, elaborare e rielaborare. Il training di un modello avanzato di elaborazione del linguaggio può generare fino a 550 tonnellate di CO₂.
Ancora più allarmante è il fatto che questi dati sono spesso solo stime, per la mancanza di trasparenza da parte dei fornitori di queste tecnologie. Un esempio emblematico è quello di ChatGPT 3.5: l’utilizzo ripetuto del modello potrebbe generare circa 260 tonnellate di CO₂ per mese.
Le difficoltà nella misurazione: poca trasparenza, approcci disomogenei, nessuno standard condiviso
Uno dei principali ostacoli nella valutazione dell’impatto ambientale dell’IA è la mancanza di una metodologia standardizzata. Le fonti di emissione sono numerose: training, inferenza, archiviazione, aggiornamenti, ecc. Tuttavia, come sottolinea la Mozilla Foundation, pochi sviluppatori forniscono dati chiari su emissioni, consumo energetico o idrico.
Ogni azienda utilizza parametri propri, spesso incompleti, che impediscono qualsiasi confronto affidabile. Le analisi sul ciclo di vita completo di un modello, dalla progettazione al deployment, sono rare. E quando esistono, si limitano a dati parziali, per motivi di riservatezza o per timore di ripercussioni. Di conseguenza, né i consumatori né i decisori politici dispongono di strumenti concreti per valutare l’impatto reale di queste tecnologie.
Prime iniziative e indicatori emergenti
Nonostante le difficoltà, stanno nascendo iniziative per quantificare l’impatto dell’IA in modo più oggettivo. Aziende come Capgemini stanno sviluppando framework per stimare le emissioni sulla base del tipo di algoritmo, della complessità del modello, della durata del training, del numero di GPU utilizzate o della fonte energetica impiegata.
Alcuni progetti puntano anche a calcolare l’intensità di carbonio per ogni richiesta o ora di utilizzo, con l’obiettivo di rendere questi dati più comprensibili anche al grande pubblico. C’è persino chi propone di visualizzare questi indicatori ambientali accanto alle informazioni sulla privacy o sull’accessibilità.
Tecnologie per un’IA più sostenibile
La misurazione è solo il primo passo. È altrettanto importante agire per ridurre l’impatto ambientale. Le soluzioni possibili sono molte:
- Ottimizzazione degli algoritmi: i ricercatori stanno sviluppando modelli più leggeri che richiedono meno potenza di calcolo. Tecniche come la model distillation o l’uso di architetture compatte riducono sensibilmente i consumi energetici.
- Utilizzo di energie rinnovabili nei data center, come solare, eolico o idroelettrico.
- Sistemi di raffreddamento intelligenti, come il raffreddamento a immersione o con aria esterna, per limitare le dispersioni energetiche.
- Recupero del calore generato dai server per riscaldare edifici o reti urbane.
- Certificazioni ambientali e standard green, come i label ISO o le etichette ambientali dedicate al settore digitale, che favoriscono la trasparenza e la responsabilità.
Una responsabilità condivisa
Con l’espansione dell’IA, la sua impronta ecologica non può più essere trascurata. Servono misurazioni rigorose, informazioni trasparenti e l’integrazione di metriche ambientali già nelle fasi di progettazione tecnologica. Anche gli utenti chiedono sempre più chiarezza sull’impatto reale degli strumenti digitali.
I governi, gli sviluppatori, le aziende e i cittadini devono muoversi nella stessa direzione: fare dell’IA un motore di progresso e non un acceleratore della crisi climatica. Ciò significa compiere scelte tecnologiche più sostenibili e definire regole che incentivino l’efficienza e la trasparenza. In Diabolocom, questa visione si traduce nello sviluppo di un’IA frugale, pensata per applicazioni aziendali mirate, con l’obiettivo di ridurre al minimo l’impatto ambientale e massimizzare l’efficacia operativa.
Conclusione: verso un’IA davvero intelligente… e sostenibile
L’impronta di carbonio dell’intelligenza artificiale non è inevitabile. È il frutto di scelte tecniche, economiche e politiche che possiamo ancora orientare in modo diverso. Rendere questi impatti visibili, misurabili e confrontabili è il primo passo per migliorare.
E se domani ogni riga di codice, e ogni prompt, includesse anche i grammi di CO₂ generati? Sarebbe un passo decisivo verso un’IA che si integri realmente in una logica di sviluppo sostenibile. Solo così potremo definirla davvero intelligente.
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